Nessuno nasce Master. Potrebbe essere un proverbio applicabile al GdR e preso in prestito da “Nessuno nasce maestro”/”Nessuno nasce imparato”, ma fondamentalmente vale per tutti i tipi di giocatori, siano questi master o meno. E oggi voglio proprio parlare dei master, rendendomi perfettamente conto che parlo quasi sempre di master, e di alcune cose che s'imparano nel corso delle esperienze.
Uno degli aggettivi più utilizzati per descrivere il master e il suo ruolo sul gioco è quello di “Onnipotente”, addirittura una volta a una convention un giocatore lo definì “Il dio del dio degli dei” per spiegarlo a un tizio che giocava per la prima volta o quasi.
In realtà, come ho già scritto, il master è lì per servire e non per comandare: se comanda ha ancora molta strada da fare e, presto o tardi, i giocatori si stuferanno di giocare con lui, a meno che non siano inclini a farsi comandare. Non importano né le abilità descrittive, né quelle di scena o di atmosfera, che sono sicuramente utilissime, ma accessorie.
Anni fa uscì un GdR, a detta di molti rivoluzionario, che si chiama Cani nella vigna (Dogs in the vineyard di D. Vincent Baker): sentendone parlare bene sui vari forum, cercai delle recensioni che mi facessero capire come funzionava e cosa avesse di così innovativo. Un articolo su internet descriveva, in sostanza, la filosofia del gioco, descrivendo una regola fondamentale riguardante il comportamento del master di fronte alle richieste dei giocatori: questo principio veniva riassunto con una frase:”Dì di sì o tira il dado”.
La trovai immediatamente una buona idea, semplice e applicabile in sostanza alla stra grande maggioranza dei giochi di ruolo che siamo abituati a vedere. Tentai allora di applicare quella regola fin dalla sessione successiva, senza preoccuparmi troppo e mi accorsi che sostanzialmente nelle mie partite non cambiava nulla e che in genere applicavo già quel principio senza nemmeno conoscerlo. Feci un piccolo controllo in base agli appunti scritti delle avventure e alla mia memoria e verificai questa tendenza.
Però ci sono richieste e richieste: un conto è se un giocatore chiede di poter saltare un crepaccio e un altro è se chiede di poter avere un arma senziente +5 con scariche di fulmini e vento nei capelli (nel qual caso si può sempre dire di tirare 1d12 e se esce 37 allora la richiesta viene concessa). Quindi per forza di cose anche i “NO” sono necessari durante una partita, pur tentando di applicare quella semplice regoletta.
Le ragioni del “NO” possono essere molteplici, ma devono avere un senso. Impedire ai personaggi di risolvere la situazione in un modo differente a quella che come Master si era pensato, va completamente al di fuori del concetto di Gioco di Ruolo. Nelle varie sessioni che conduco, generalemnet nego la richiesta senza tirare il dado o far tirare il dado nelle seguenti occasioni:
Poi ci sono situazioni in cui il “No” può essere dettato dall'impossibilità di svolgere quell'azione da parte del personaggio, o per mancanza di tempo o per mancanza di abilità: i lavori di precisione, come scassinare le serrature, richiedono tempo e precisione e non sempre questi sono disponibili; in altre circostanze il personaggio potrebbe non avere l'abilità sufficiente per riuscire, a meno che il regolamento non contempli successi automatici, cosa che comunque Arcan Myth non fa.
Ma esaurite le ragioni del no, che senso ha forzare l'andamento dell'avventura negando ai giocatori le scelte che fanno prendere ai personaggi? Del resto, diciamocelo, hanno deciso di mettersi nei guai per cercare avventure, è anche giusto che lo facciano nel modo che desiderano. Le situazioni non hanno mai un'unica soluzione e, personalmente, se i giocatori riescono a risolvere i loro guai in un modo in cui non avevo pensato credo che meritino un premio e non un ostacolo.
Da fantasia nasce fantasia, così le richieste dei giocatori potrebbero trasformarsi in nuove sfide per il gruppo, che sarebbe così invogliato a proseguire nel cammino, anche se in un modo non previsto. Non è detto che gli eventi debbano seguire le scelte dei personaggi e viceversa, ma sicuramente una buona strada è più invogliante di una che sembra non portare a nulla.
Esempio pratico. Si vuole che i giocatori trovino una determinata informazione. Ha senso vincolarla a una ricerca perigliosa o si rischia che i giocatori lascino perdere? Se devono trovarla, bisogna fargliela trovare, certamente in modo consono, ma senza sputare troppo sangue.
Il sangue lo sputeranno su un qualcosa che loro vogliono assolutamente trovare e non che il master vuol far trovare e magari a quel loro desiderio si collegano le altre cose di cui il master ha bisogno.
Seguendo questi principi l'avventura è troppo facile? O peggio ancora essi scelgono una strada diversa abbandonando il cammino programmato? Pazienza, il master deve essere pronto anche a questo, o almeno lo sarà la prossima volta. E' necessario e naturale che, per uscirne, ci siano anche strade diverse di quelle previste dal master, se i giocatori le trovano, buon per loro.
E l'avventura continua.
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